Savogno è un paese disabitato situato nel comune di Piuro (SO), in Lombardia. Il borgo è raggiungibile solo a piedi attraverso una ripida mulattiera di 2.886 gradini. È situato appena sopra le Cascate dell’Acquafraggia ed è circondato in prevalenza da boschi.
Tutt’ora c’è un rifugio-ristorante, conosciuto come rifugio Savogno, che d’estate diventa un punto di ristoro e di appoggio per chi volesse intraprendere gli altri sentieri nella valle, fino ad arrivare alla sorgente delle cascate (4-5 ore di cammino da Savogno).
Un cartello, prima del sentiero, riporta la scritta:
Savogno, dove il tempo si è fermato.
E, una volta visitato il piccolo borgo, se ne capisce il senso!
Savogno: Un po’ di storia!
Il borgo di Savogno ha origini medievali. Conserva ancora interessanti forme di architettura rurale, con bellissimi e lavorati portoni in legno e mura in pietra. Il borgo era divenuto un punto di transito obbligato per quanti si recavano a Coira, capitale delle Tre Leghe Grigie, in Svizzera. La pastorizia era elemento essenziale dell’economia: il nome Savogno infatti significa “luogo di ovini“.
Tra gli edifici principali è molto interessante, oltre che molto bella e ben conservata, l’antica chiesa parrocchiale dedicata a San Bernardino. La chiesa presenta interessanti affreschi e un campanile in stile rinascimentale. La chiesa nel corso degli anni venne ristrutturata una prima volta nel Seicento e poi successivamente nell’Ottocento grazie all’operato di San Luigi Guanella, negli anni in cui fu parroco nel paese (1867-1875). Fece inoltre costruire un lavatoio pubblico ed ampliò il vecchio cimitero.
Così Don Guanella descriveva il borgo negli anni del suo ministero pastorale:
«Savogno è villaggio umilissimo che si aggrappa agli scogli del monte, entro una valle ripida che guida al vertice del monte Stella, il più alto culmine in Italia dopo il Monte Rosa. Dallo Stella si prospetta al canton Grigione da tramontana, alla valle Mesolcina da ponente, alla Lombardia da mezzodì, e da levante all’Engadina svizzera ed al Maloia, da cui parte il gruppo delle Alpi che discendono ad incoronare la penisola italica e il corso delle acque dei fiumi, precipui il Reno e il Danubio, che per due lati opposti si incamminano a salutare le principali regioni d’Europa»
Sempre al Seicento risale invece una fontana pubblica che si trova nella parte alta del paese con una divisione per l’abbeveratoio degli animali e la fonte per le persone, risalente ai tempi delle prime cure igieniche contro la peste manzoniana. Nel 1961 venne costruita anche una scuola elementare.
Il borgo venne definitivamente abbandonato a partire dal 1968 a causa del progressivo spopolamento dell’area a vantaggio di paesi più a valle e facilmente accessibili.
Leggende dell’Acquafraggia
Una leggenda narra che sul paese ci sia una maledizione fatta dal diavolo in persona. Il diavolo, per rivendicare tale maleficio, ha impresso la propria impronta su una roccia che si trova lungo la strada che si percorre per arrivare al paese. Questa roccia è chiamata, in dialetto, “il sas de l’anticrist”.
La peste, definita anche “la morte nera”, portata dai Lanzichenecchi raggiunse dal fondovalle Dasile, un piccolo borgo poco distante da Savogno. Vi furono i primi sintomi, le prime febbri, le prime morti. La comunità fu presa dal panico e dal terrore perché nessuno avrebbe potuto dire quando si sarebbe fermata l’epidemia. Gli abitanti di Dasile non vedendo una via d’uscita dalla situazione obbligarono due giovani a lasciare il paese e a salire all’alpe Corbia, vivendo isolati rispetto a tutti gli altri, senza possibilità di contatto con gli abitanti.
Nell’ipotesi peggiore, sarebbero sopravvissuti almeno loro ed avrebbero consentito al bestiame superstite di continuare a vivere. I due, avviliti e amareggiati, lasciarono le loro abitazioni. Avevano ricevuto l’ordine di scendere, periodicamente e con la massima cautela, fino alle rocce che sovrastano il paese, per osservare cosa accadesse. E così fecero. Con il passare dei giorni videro che le persone che si muovevano fra le vie erano sempre meno, finché, un brutto giorno, non si vide più nessuno.
Presi dal panico e dalla disperazione, scesero verso Savogno. Giunti, però, al ponte che congiunge i due versanti, lo trovarono distrutto. Compresero che gli abitanti di Savogno non solo non avevano prestato soccorso a quelli di Dasile, ma avevano anche distrutto l’unica via di comunicazione, per impedire che la peste li toccasse. Presi da un impeto d’ira e animati da spirito di vendetta meditarono come far pagare agli abitanti di Savogno l’enorme egoismo che avevano dimostrato. Lungo il tragitto videro la carcassa di un gatto morto. Muniti di un lungo bastone afferrarono la carcassa, la portarono nei pressi del torrente e la gettarono sul lato opposto della valle. Il germe della peste approdò così sul territorio di Savogno, e non tardò a raggiungere, propagato dagli animali, i suoi abitanti, che così pagarono nel modo più terribile la loro colpa.
La salita al lago dell’Acquafraggia, da Savogno, è molto lunga e faticosa dato che si trova a 2043 metri d’altezza, cioè a più di tre ore di cammino dal paese. Quando i bambini si facevano un po’ più grandicelli, veniva per loro il momento di salire per la prima volta, all’inizio dell’estate, all’alpe Lago per imparare il lavoro del pastore. La prima salita era una specie di piccolo evento, assai temuto, perché legato ad una prova terribile. Si diceva loro, infatti, che avrebbero dovuto affrontare, una volta giunti all’alpeggio, una vecchia ed orrenda megera, che viveva lì da tempo immemorabile e che esigeva da tutti i nuovi pastorelli un omaggio a dir poco singolare, il bacio del sedere.
È facile immaginare con quale senso di paura e di disgusto i ragazzi salissero lungo il sentiero che porta all’alpe e come si sentissero quando, giunti nei pressi di un grande masso, veniva loro annunciato che l’ora della prova era giunta, perché la megera se ne stava ad attenderli proprio dietro di esso. Ma dietro il masso non c’era proprio nessuno ed i futuri pastorelli scoprivano, fra le risa dei più grandi, che si trattava di uno scherzo da rinnovare anno dopo anno e generazione dopo generazione. Sollevati per lo scampato pericolo e fieri del segreto di cui erano stati resi partecipi e che li rendeva ora, ufficialmente grandi, si accingevano così ad iniziare la lunga stagione dell’estate all’alpe.
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